L’emergenza legata all’epidemia da coronavirus di questi giorni ha acceso i riflettori sul lavoro agile utilizzato dalle aziende.
Lo smart working, tuttavia, non va inteso solo come pronta risposta alle emergenze. È una modalità di svolgere il rapporto di lavoro subordinato che è sempre più diffusa: in Italia, nel 2019, si è registrato un incremento della fruizione del lavoro agile del 20%.
La disciplina di riferimento è contenuta nella Legge 81/2017: attraverso un accordo scritto tra Datore di lavoro e lavoratore, quest’ultimo potrà svolgere la propria prestazione senza vincoli di orario o di luogo, usando strumenti tecnologici, in parte all’interno dei locali aziendali, in parte all’esterno, senza una postazione fissa, con i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale stabiliti dalla legge e dal contratto collettivo.
Al netto dell’emergenza coronavirus, lo strumento dello smart working è fortemente polarizzato: le grandi aziende che ammettono già di applicarlo sono 58 su 100; a queste si aggiungono il 7% che ha attivato iniziative informali e un 5% che pensa di farlo entro i prossimi 12 mesi.
In ordine alle Piccole e Medie imprese, invece, il quadro predetto si ribalta: le aziende che si dichiarano totalmente disinteressate all’implementazione del c.d. “lavoro agile” sono più della metà (51%).
La vera sfida per la capillare diffusione del lavoro agile, quindi, è proprio quella che riguarda le piccole – medie imprese.
Stefano Scarpetta – direttore Employment dell’OCSE afferma: “la sfida per le PMI è duplice: da un lato riguarda la penetrazione della tecnologia; dall’altra, i manager, che sono il vero volano del cambiamento: se loro stessi non hanno abbastanza competenze tecnologiche o non sono in grado di organizzare in modo diverso i luoghi di lavoro è difficile che comprendano le potenzialità dello smart working e che lo implementino”.
Il rischio, dunque, è quello di non cogliere gli effetti positivi che il lavoro agile porta alle aziende, a titolo esemplificativo:
- Riduzione costi aziendali;
- Aumento della produttività;
- Positiva ricaduta ambientale.
Per quanto tutto sopra esposto, si può affermare che la diffusione dello smart working in Italia è inferiore alla media mondiale, C’è, dunque, spazio di crescita.
Fonte: il Sole 24 ore – 2 marzo 2020